
LA STORIA DI MATTEO
Buongiorno a tutti, vi ricordate di me?? Sono Valeria e per Bio-shake racconto le Storie Vere di vite “comuni”, beh… Non direi così tanto comuni, visti i racconti che mi state mandando! Fin ora abbiamo letto la storia della super nonna Ornella e dell’amore per i suoi nipoti, di Roberto, insegnante di pianoforte che ha deciso di realizzare il suo sogno e di Luca che, giovanissimo, ha aperto la sua azienda nonostante il periodo che stiamo vivendo.
La storia di oggi è molto particolare!!! Me l’ha inviata Matteo, il titolo è:
Io e l’improvvisazione teatrale
“Una delle cose più difficili nella vita è cominciare. Che si tratti di un progetto, di un lavoro, di un articolo o qualsiasi altra attività che ci costringa a metterci in gioco e rischiare, nel momento in cui dobbiamo iniziare si attivano diversi meccanismi mentali ed emozionali che ci bloccano. Arrivano domande del tipo “Sarò abbastanza originale? Ne vale la pena? Ma sto così bene dove sto ora senza far niente. Non l’ho mai fatto. Non sono capace” e spesso la soluzione è procrastinare fino magari a rinunciare del tutto e continuare a rimanere nella nostra comfort zone, termine che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere.
Cosa c’entra questa premessa con l’improvvisazione teatrale che campeggia nel titolo dell’articolo? Forse niente forse tutto, lo si scoprirà.
Mi sono avvicinato a quest’arte grazie a un’amica che mi ha consigliato di andare a vederne uno spettacolo: “Sono sicura ti piacerà e secondo me è qualcosa che potresti fare anche tu”. Era uno spettacolo organizzato dalla scuola milanese Teatribù dal titolo “Non sparate sul regista”. La struttura dello spettacolo era piuttosto semplice da vedere (più difficile da spiegare): a turno ogni attore avrebbe fatto da regista a una storia il cui titolo veniva suggerito dal pubblico, gli altri attori ne sarebbero stati gli interpreti. C’erano cinque attori così dopo circa 20 minuti avevamo visto le prime scene di cinque storie diverse, tutte improvvisate. A questo punto veniva chiesto al pubblico, tramite applauso, di giudicare la storia che aveva gradito di più; la storia e il regista che ricevevano l’applauso più modesto venivano eliminati e solo le storie rimanenti potevano andare avanti. Ad ogni turno veniva eliminata una storia fino a che solo la più accattivante poté arrivare alla scena finale. Trovai quel modo di esibirsi esilarante e incredibilmente affascinante, inoltre ho sempre amato recitare per far ridere ma il dover studiare a memoria un copione sembrava una fatica troppo pesante da affrontare. Per cui l’improvvisazione sembrava la strada giusta per me: divertire divertendomi senza avere troppo lavoro di preparazione alle spalle. Circa un anno dopo cominciai la scuola di tre anni.
Il primo anno lo ricordo come quello dell’innamoramento: tutte le lezioni erano incentrate sul lasciarsi andare, dimenticare il giudizio (in particolar modo l’autogiudizio), non cercare di essere originali ma semplicemente essere presenti, ascoltare e accettare quello che accadeva in scena per poi reagire spontaneamente. Mi resi presto conto che il mio censore interiore era ciò che più mi bloccava, spesso mi giravano in testa pensieri del tipo “con la prossima scena devo far ridere, lui ha fatto una bella battuta prima io ora devo farne una più bella, quello che ho fatto prima ha fatto schifo” e altre voci che mi impedivano di partecipare come avrei voluto. Il momento della svolta è stato durante una lezione nella quale eravamo tutti particolarmente “rigidi”, così per scioglierci un po’ l’insegnante ha iniziato a ripetere “dovete fare gli scemi, dovete fare gli scemi!”. Per me è stato un momento illuminante: dopo essermi sentito ripetere costantemente “smettila di fare lo scemo, fai il serio, dai basta scherzare” ora mi sentivo libero di essere me stesso.

Credo che questo passaggio necessiti una spiegazione. Non mi reputo affatto una persona poco intelligente, al contrario credo di avere una buona autostima (o un ego molto alto, non l’ho ancora capito) ma quella frase mi ha liberato dall’idea di essere giudicato dagli altri e soprattutto da me stesso. Fin da piccolo mi sono lasciato condizionare da quello che pensavo gli altri potessero pensare di me e così ho scelto le scuole “giuste”, il lavoro più “responsabile” lasciando da parte le mie vere passioni. Passioni che nemmeno mi permettevo di scoprire fino in fondo perché mi sembravano sciocchezze e se mai ci sarebbe stato un tempo per loro sarebbe stato solo una volta che mi fossi “sistemato”. “Dovete fare gli scemi” per me ha significato poter, anzi, dover fare quello che più mi corrisponde senza temere il giudizio degli altri.
Il secondo e il terzo anno sono stati incentrati su aspetti più tecnici legati alla costruzione delle storie e dei personaggi. Uno su cui si è lavorato di più è “la celebrazione dell’errore”. È logico pensare che in uno spettacolo improvvisato tutto quello che si fa vada bene, sia giusto. In realtà non è esattamente così, anche se in qualche modo lo diventa. Per esempio: mettiamo che due attori stiano interpretando una scena dal salumiere dove uno è il macellaio e l’altro un cliente. Poco dopo entra un altro attore dalla destra della scena fingendo di essere un altro cliente. Il suo ingresso dalla destra ha stabilito per tutti, attori e pubblico, che la porta di ingresso del negozio è sulla destra. Successivamente però un altro attore entra nel negozio ma, sbagliando, lo fa aprendo una porta immaginaria sulla sinistra. Questo è evidentemente un errore perché, come detto poco fa, l’ingresso del negozio era evidentemente sulla destra. Qui scatta “la celebrazione dell’errore”. Se gli improvvisatori sono presenti e reattivi scatterà facilmente un gioco che celebrerà quest’errore; per esempio, i nuovi clienti ora potranno entrare da ogni direzione, da destra, da sinistra, da sotto il bancone, dal fondo della scena e così via. Tutto questo ha un effetto molto divertente ed è molto meglio che fare finta che non sia successo, perché invece è successo e bisogna accettarlo.

Spesso le lezioni erano particolarmente intense perché notavo che interpretavo personaggi che avevano tratti ricorrenti o che agivano nello stesso modo e, poiché erano improvvisati, capivo che era tutto parte del mio carattere. Purtroppo, questo tipo di lavoro ti mette di fronte a uno specchio enorme dove noti anche cose di te che non ti piacciono. Scrivo purtroppo ma in realtà la considero una fortuna perché mi ha aiutato a scoprire dei miei atteggiamenti che non mi piacevano e quindi cercavo e cerco di cambiarli. Ho scoperto che alcuni di questi sono più radicati e difficilmente riuscirò mai a modificarli, ma ora li accetto con serenità perché a quanto pare fanno parte del mio personaggio.
Concluso il corso sono riuscito, insieme ad altri cinque miei compagni, a mettere in piedi una piccola compagnia con la quale continuo a improvvisare e con cui ci esibiamo in alcuni locali, soprattutto nella zona di Milano. Ci chiamiamo Senza Carte, perché siamo senza copione ma anche senza finanze. Sono ormai sette anni che lavoriamo insieme e ogni anno cresciamo un pezzo in più. Per sua natura l’improvvisazione ci obbliga a metterci in gioco e a rischiare a ogni scena perché non sai mai cosa potrebbe accadere. Quello che sai è che l’importante è esserci, fidarsi del proprio istinto e la storia si scoprirà insieme a chi gioca con te.
Una delle cose più difficili nella vita è cominciare. Quando andrete a vedere uno spettacolo di improvvisazione potrà capitarvi di vedere degli attori che tentennano ad entrare in scena, con un piede che fa avanti e indietro per entrare ma l’altro non si muove da dov’è. Quello è il corpo che sa che deve andare ma la testa lo tiene fermo perché ha paura di rischiare. Alla fine nella vita di tutti i giorni improvvisiamo, sta a noi scegliere se interpretare delle scene già viste oppure seguire il nostro istinto e scoprire nuove storie.
Accanto a tutto questo c’è il mio lavoro “responsabile”. Da oltre dieci anni faccio il soccorritore sulle ambulanze. Così come nell’improvvisazione non sai mai cosa potrà accadere nella scena, così nel soccorso non sai mai veramente su cosa andrai a intervenire finché non sei in posto. È un lavoro che richiede una forte capacità di ascolto perché entriamo in contatto con persone che stanno vivendo un momento inaspettato e il più delle volte drammatico, per cui anche le comunicazioni più semplici diventano difficili. Gli esercizi di recitazione e l’interpretare personaggi in diverse situazioni aiuta a sviluppare l’empatia necessaria per instaurare un rapporto di fiducia nei pazienti che incontro. Non che per essere un buon soccorritore si debba fare un corso di improvvisazione, però sicuramente aiuta la comunicazione e la gestione di situazioni che non possono essere sotto il nostro controllo”.
Grazie Matteo per averci raccontato la tua storia e invito tutti voi a seguire la pagina social della sua compagnia Senza Carte per rimanere aggiornati sui prossimi spettacoli!
Come sempre vi ricordo che potete mandarmi il vostro racconto via mail a bioshakeblog@gmail.com !!!
Alla prossima,
Valeria

LA STORIA DI LUCA

LA STORIA DI STEFANIA
Potrebbe anche piacerti

Lottare per la libertà a Hong Kong
11 Giugno 2020
Io diverso…diverso da chi?
1 Luglio 2019
2 commenti
Paola
“Una delle cose più difficili nella vita è cominciare” è proprio vero! Le passioni vanno alimentate altrimenti si spengono. Grazie Matteo per questa bella storia e testimonianza.
Alda
Ciao Matteo! Mi è piaciuto leggere il tuo racconto. Complimenti per l’impegno, la determinazione e i successi raggiunti. Ora non mi resta che venire a vederti a teatro. In bocca al lupo e …buona la prima! 😉😊