
Lottare per la libertà a Hong Kong
Il tempo sta scadendo. Così Joshua Wong, giovane attivista pro-democrazia leader delle proteste contro le ingerenze cinesi nella sua città, descrive la situazione disperata della libertà ad Hong Kong. Dopo anni di manifestazioni e scioperi che hanno coinvolto centinaia di migliaia di cittadini, il regime di Pechino sta lentamente e inesorabilmente imponendo la propria egemonia sulla ex-colonia britannica, centro nevralgico del commercio mondiale.
Sin dalla riunificazione con la Cina, avvenuta nel 1997 in seguito ad un accordo politico con il Regno Unito, infatti, il governo di Pechino ha cercato di introdurre misure sempre più stringenti riguardo l’autonomia di Hong Kong, contravvenendo al principio “una Cina due sistemi”, cioè la garanzia del mantenimento della separazione del sistema sociale e giuridico della città da quello cinese. Gli 8 milioni di abitanti della metropoli sono cresciuti in un contesto molto diverso da quello della Repubblica Popolare Cinese, forti di libertà economiche e di opinione tipiche del sistema anglosassone, ma che oggi rischiano di essere sepolte dal controllo cinese.

Nell’ultimo decennio, a causa della politica imperialista di Xi Jinping, le proteste pro democrazia sono diventate sempre più eclatanti e ricorrenti, di volta in volta finalizzate a neutralizzare le ingerenze cinesi nella vita dei cittadini hongkongesi. Nel 2014 i manifestanti, tra cui spicca il giovane Wong a capo del sindacato studentesco Scholarism, si opposero al rifiuto cinese di approvare una riforma elettorale che permettesse ai cittadini di eleggere, senza ingerenze di Pechino, il capo esecutivo di Hong Kong. Quella che giornalisticamente diventa famosa come rivolta degli ombrelli, utilizzati dai manifestanti per proteggersi dai gas lacrimogeni della polizia, riesce a riportare i riflettori internazionali sulla situazione critica della democrazia della metropoli, sempre più piegata al volere cinese.
Negli anni successivi il regime e gli attivisti si scontrano periodicamente, fino a sfociare nelle rivolte del 2019, che continuano tuttora ininterrotte, anche se fiaccate da mesi di arresti, scontri e violenze. Questi nuovi tumulti scoppiano in seguito a due nuovi duri provvedimenti: la proposta di estradizione in Cina dei cittadini di Hong Kong autori di reati, che significherebbe la sparizione legalizzata di migliaia di dissidenti politici, e la recente stretta di Pechino riguardante la legge sulla sicurezza nazionale, volta a vietare le attività secessioniste e le ingerenze straniere, permettendo un maggiore controllo da parte delle agenzie di sicurezza cinese sui manifestanti e sugli attivisti. De facto, queste due misure avrebbero la forza di spezzare la resistenza democratica di Hong Kong, che diverrebbe una delle tante megalopoli cinesi.

In questi mesi, a causa dell’epidemia di Covid-19, anche le proteste avevano subito una sospensione, ma sono subito riprese non appena la situazione sanitaria è tornata sostenibile. Si tratta di giovani studenti che vivono nelle strade della città dormendo in minuscole tende per giorni e giorni, famiglie pronte a essere arrestate, picchiate e a perdere il posto di lavoro. Cosa spinge queste persone comuni, non eroi cinematografici ma cittadini, a rischiare tutto?
“La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare”, diceva Piero Calamandrei, e ieri come oggi queste semplici eppure profonde parole illuminano sia noi che i combattenti
per la democrazia di Hong Kong. Le definizioni del concetto di libertà nella storia sono spesso divergenti e complesse, ma ciò che accomuna ogni esperienza umana nel mondo è ciò che si prova quando la libertà viene meno. A Hong Kong si lotta oggi per qualcosa che noi abbiamo conquistato dopo il 25 aprile 1945, a caro prezzo. Qualcosa che resta incastonato nella Costituzione del 1948, ma che resta vivo e effettivo se tutti rispettano, conoscono e praticano.
Mentre Unione Europea, Stati Uniti e Regno Unito condannano, più o meno efficacemente, le manovre di Xi Jinping per cancellare l’autonomia della ex-colonia, raccontare quello che sta succedendo in questa enorme città-stato aiuta Hong Kong, amplificandone le richieste di aiuto, e aiuta noi, ricordandoci grazie a cosa possiamo scrivere, dire, fare o pensare senza dover chiedere il permesso ad altri che non siano la nostra coscienza.
Vi lascio qualche link di approfondimento se sieste interessati ad approfondire maggiormente il tema affrontato nell’articolo:
- Hong Kong: un anno di proteste. Clicca qui
- Hong Kong: torna la protesta. Non riusciamo a respirare. Clicca qui
- La Cina propone la contestata legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong. Clicca qui
Shake your mind
Alessandro Pogliani

Sono Alessandro, studio giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano, adoro leggere, ascoltare musica e girovagare per i monti. Sono molto curioso perché credo sia un primo passo per essere felici.

La danza della libertà

Natura: Scuola, Salute ed Esperienza
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