
PER I NOSTRI GENITORI
Paola, in un suo articolo, ci aveva già parlato di questa interessante realtà, tramite la sua esperienza (la trovate cliccando qui). Di seguito, invece, a scrivere è proprio Elisa, una delle due ragazze, creatrici del “metodo d’accordo”. Ci spiega in modo approfondito tutto quello che c’è da sapere a riguardo e alla fine trovate anche i riferimenti per poterle contattare.
IL METODO D’ACCORDO
Il percorso di psicomotricità in musica prevede circa trenta sedute a cadenza mono o bi-settimanale in un anno scolastico, costruite intorno ad un setting specifico e con obiettivi precisi per ogni gruppo di partecipanti.
- Per i bambini da zero ai dodici mesi (Newborn Music) lo scopo del percorso d’Accordo, sarebbe quello di aiutare il neonato a migliorare una propria percezione d’identità, ad affinare il senso ritmico e, accanto alla madre sempre presente durante le sedute, a liberarsi da paure e disagi emotivi.
- Nelle classi tra i dodici e i trentasei mesi (Baby Music), gli incontri proposti da d’Accordo asseconderebbero il bambino nell’acquisizione di una sicura immagine di sé e una buona elaborazione dello schema corporeo, prevenendo difficoltà relazionali e d’apprendimento.
- Un terzo gruppo comprende i bambini dai tre ai cinque anni (Junior Music) a cui le canzoni e le attività proposte, consentirebbero un flusso positivo di reazioni affettive, in un contesto collettivo che stimolerebbe in modo creativo la crescita emotiva.
- Infine, per i bambini tra i cinque e sette anni (Senior Music), la pratica di d’Accordo coinvolgerebbe il corpo in movimento, la mente e il linguaggio, con l’obiettivo di sviluppare autocontrollo, concentrazione, creatività e capacità di rilassamento.
IL SETTING DEL METODO D’ACCORDO

La luminosa stanza del progetto Psicomotricità in Musica, con pareti bianche e pavimento in legno, ha in un angolo un Pianoforte a coda con cassa armonica riposta, al centro un tappeto quadrato circondato da cuscini e, appoggiato a una parete, uno specchio che sia funzionale all’altezza dei bambini. Durante ogni seduta collettiva sono presenti due esperti, di cui uno suona il Pianoforte e l’altro interagisce con il gruppo cantando e svolgendo diverse attività. L’ingresso del setting si presenta come un piccolo corridoio, in cui è riposto lo strumentario elementare Orff e del materiale psicomotorio tra cui il “paracadute”, un telo colorato di nylon a forma di cerchio, che i bambini sono invitati a muovere secondo le peculiarità dei suoni proposti, al fine di sviluppare coordinazione motoria individuale e collettiva.
Ogni incontro è strutturato all’interno di una cornice contenitiva di saluto in apertura e chiusura, costruita sulla scala di Do maggiore in senso ascendente e discendente e favorita da un ampio movimento delle mani. Dopo il saluto iniziale, dalla posizione in cerchio seduti sul tappeto, il pianista inizia a suonare la Soldier’s March di Schumann (1848), sollecitando i bambini ad alzarsi e a sincronizzare il loro movimento con il ritmo della musica (Coleman, 2017). Alla marcia segue una canzone, strutturata appositamente nella melodia e nel testo secondo il principio di semplicità e ripetizione (Mahoney, 2016).
Ogni brano presenta uno scopo differente e mira a sviluppare alcune competenze psicomotorie come appoggio monopodalico, coordinazione, utilizzo degli arti superiori e inferiori, “contestualizzandole in una situazione musicale propositiva”. Gli esperti, tramite una varietà di canzoni, asseconderebbero sia lo sviluppo di competenze linguistiche, grazie alla ripetizione di termini scanditi ad alta voce, sia una comunicazione emotiva enfatizzata da espressioni corporee e facciali che si inseriscono durante la narrazione delle storie. Dopo la canzone, all’interno del percorso, viene proposta un’attività musicale-psicomotoria da ripetere per cinque incontri, secondo uno schema di holding che permetterebbe al bambino di sentirsi all’interno di un ambiente conosciuto.
La capacità di associazione crossmodale verrebbe in parte sviluppata da un’attività in cui ciascun comando musicale corrisponde ad un’andatura, che i bambini identificano con il nome di diversi animali, associando dunque il suono ad un movimento specifico. L’importanza comunicativa del silenzio potrebbe venire trasmessa tramite l’attività musicale-psicomotoria del paese suono-silenzio, secondo cui, solo nella metà sinistra della stanza sarebbe permesso fare rumore.

Prima della cornice finale dei saluti, i bambini possono scegliere uno strumento elementare Orff tra cui maracas, tamburelli e xilofoni colorati che, offrendo diverse possibilità melodiche, stimolerebbero l’attività emotivo/cognitiva del gruppo (Priestley, 2012). Una volta scelto lo strumento, si crea un momento d’improvvisazione musicale in cui viene esclusa o limitata la comunicazione linguistica per permettere la liberazione del canale non verbale; in tale sede, la pianista suona tre brani che trasmetterebbero sensazioni diverse, rispecchiando la “forma sonata”: allegria (brano con ritmo veloce), tranquillità (brano a ritmo lento), soddisfazione (“brano Allegro con accordo finale risolutore di una tensione iniziale”).
Dopo una parentesi di rilassamento accompagnata dalle note dolci del pianoforte, un saluto a tutto il gruppo e un saluto alle note musicali concludono un normale incontro del Metodo d’Accordo, completando la cornice contenitiva. Alla fine di ogni seduta, i due esperti che collaborano e, a cadenza mensile, una parte dell’équipe coinvolta, si incontrano per trattare dei vari gruppi e dei singoli partecipanti, discutendo di episodi significativi accaduti durante gli incontri e dei possibili colloqui con le figure genitoriali. Tali episodi possono concernere le dinamiche dei gruppi, l’emotività dei singoli legata alla loro storia familiare ed eventuali miglioramenti nelle sfere cognitive, affettive, relazionali e musicali.
Prendendo in considerazione ad esempio i bambini del Junior Music, si è osservato che, da una produzione vocale spontanea pressoché nulla durante le prime tre sedute, negli ultimi incontri, tutti i bambini cantano i saluti e si dimostrano più attenti in momenti dove è necessario l’ascolto; durante la marcia iniziale e l’improvvisazione con lo strumentario Orff, gli esperti avrebbero notato un miglioramento nella ricerca ritmica non casuale, ma coerente con la cornice pianistica.
Per quanto concerne la relazione con i coetanei e l’adulto, la paura del giudizio, la ricerca della performance vengono spesso dimenticati nelle ultime tre sedute, dimostrando spirito collaborativo (esempio di un bambino che aiuta l’altro a suonare un nuovo strumento) e minor necessità di “primeggiare” e di distinguersi.
Infine, il miglioramento nella tolleranza del silenzio e la consapevolezza dell’ascolto non abbinato all’azione, si dimostrerebbe nell’accoglienza con cui molti bambini vivono il rilassamento durante le ultime sedute e nell’attesa dei cinque/dieci secondi di silenzio richiesti prima di iniziare ogni brano dell’improvvisazione.

Il Laboratorio d’Accordo di Elisa Galli, Neuropsicomotricista e Valeria Marsheva, Musicoterapista, si trova a Seregno in Via Alessandro Volta, 18.
Per maggiori info potete contattarle scrivendo a info@metododaccordo.it o visitando il loro sito www.metododaccordo.it
Shake your mind
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Segue ora un approfondimento per chi di voi volesse comprendere meglio l’importanza della musica nello sviluppo psicofisco del bambino e cosa ha ispirato il metodo d’accordo.
L’IMPORTANZA DELLA MUSICA NELLO SVILUPPO PSICOFISIOLOGICO DEL BAMBINO E I FONDAMENTI DEL METODO D’ACCORDO
“Vivendo dentro la madre e venendo al mondo, in un bagno di suoni, il bambino sa che all’inizio non era la parola (λόγος), bensì il suono” (Fornari, 1984).
PRIMA DELLA NASCITA
Secondo la teoria dello sviluppo di Briggs (1991), durante i primi nove mesi di vita, la fase tipica dei riflessi permetterebbe al neonato di concentrarsi sull’ascolto e sulla vocalizzazione, mentre con la fase intenzionale, fino ai diciotto mesi, il bambino inizia a copiare le frasi musicali e ad imparare sequenze sonore. Dai diciotto ai trentasei mesi, si potrebbe riconoscere nel bambino una fase di controllo degli elementi musicali a cui segue uno stadio d’integrazione, che favorirebbe l’apprendimento di strumenti musicali, brani e rime. Così come per la crescita linguistica, la percezione e la ricezione del segnale acustico, si sviluppano prima dell’abilità stessa di produrre qualsiasi compito musicale (Miyamoto, 2007). In una vasta meta-analisi riguardo il potere della musica e il suo impatto sullo sviluppo cognitivo, è stato verificato che oltre ad uno sviluppo delle competenze linguistiche e della consapevolezza fonologica, l’educazione musicale presenterebbe positività nelle abilità sociali, emotive e nello sviluppo fisico (Hallam, 2015).
LA MUSICALITÀ NELLA COMUNICAZIONE PRELINGUISTICA

A seguito della crisi sonora al momento della nascita, in cui il bambino recepisce per la prima volta i suoni direttamente, senza l’intermediazione del corpo materno, vengono a delinearsi, con diversità temperamentali, competenze comunicative innate nella diade madre-bambino (Kohut, Levarie, 1950). Da un lato, il neonato produce diversi tipi di grida originate da differenti esigenze fisiologiche (fame, dolore, collera e frustrazione), dall’altro, la madre pronuncia parole brevi, a intervalli regolari, con modulazioni semplici e cantilenanti; il bambino in un secondo momento si inserisce nelle pause della madre, utilizzando espressioni vocali e favorendo una “protoconversazione scandita ad un tempo di adagio” (Delafield-Butt & Trevarthen, 2013). Tale interazione, pone le basi per il “sistema regolatore centrale della comunicazione umana”, fondamentale per il linguaggio verbale e musicale, che rimane invariato nel corso della vita e sopravvive anche in soggetti affetti da processi involutivi.
Il termine IDS, Baby talk, o anche motherese, definisce il tipo di linguaggio utilizzato dagli adulti per catturare l’attenzione dei bambini e promuovere una loro risposta (Bergeson & Trehub, 1999). I tratti transculturali del motherese sono segmentazione, semplicità sintattica tipica di uno stile olofrastico, lentezza e registro acuto, accanto a componenti cinestesiche (atti mimico-gestuali) e prosodiche (intonazione della frase) soprattutto da parte del caregiver (Manarolo, 2006). Il comportamento vocale materno, accanto ad altre finalità, faciliterebbe il neonato nell’analisi e nell’attribuzione di significato all’universo sensoriale che lo circonda e che costituirà la struttura e la qualità dell’esperienza musicale futura del bambino (Stern, 1985).
A partire dai sei mesi, la musicalità del bambino si manifesta sia nelle modalità di movimento espressivo, mostrando il suo Sé sociale, sia nelle vocalizzazioni tra lui e i caregivers (Trevarthen, 2002). Il movimento e il canto della madre stimolano il bambino a sviluppare empatia, promuovendo un legame positivo (Edwards, 2011). Nella visione di Dissanayake (2008), le caratteristiche musicali dell’interazione madre-bambino di ripetizione, variazioni dinamiche, esagerazione, contribuiscono al legame emotivo perché si incontrano con i segnali visivi, vocali e cinetici dell’infante. Tali interazioni positive costituiranno le fondamenta delle future capacità relazionali del bambino che ricercherà nell’altro le proprie strutture ritmiche (ibidem).
CHI HA ISPIRATO IL METODO D’ACCORDO?
“Quando il bambino scopre e agisce nel mondo, vive la sua unità. Tutte le sue funzioni nell’azione sono sollecitate: funzione sensoriale, funzioni motorie, funzione emozionale, musicale, immaginaria e cognitiva. Tutto il suo essere funziona” (Aucouturier, 2014, p.2).
Malloch e Trevarthen (2008), hanno metaforicamente connesso la musicalità della diade madre-bambino con il movimento, sottolineando la natura multimodale della relazione che, non solo coinvolge la sfera uditiva, basata sulla vocalità, ma anche quella visiva, ritmica e fisica. Secondo Pavlicevic (2000), le interazioni della diade condividono flessibilità musicale, un costante adattamento del ritmo, dell’intensità, del movimento e della forma per mantenersi in contatto.
Quando il feto, il neonato, il bambino, entrano in relazione con la musica, essa diventa strumento di meta-comunicazione che coinvolge anche il corpo nella sua totalità, suggerendo ai musicoterapeuti l’efficacia di un connubio tra psicomotricità e musica (Scardovelli, 1986). A partire da tale affermazione, gli obiettivi della psicomotricità in musica si concentrano sulla conoscenza e la sperimentazione di diversi ritmi e sonorità al fine di acuire la sensibilità artistica e il gusto per il bello, strumenti fondamentali per una crescita armoniosa.
Lo studio psicomotorio auspica, inoltre, di nutrire l’intelligenza musicale in modo creativo, dialogico e flessibile verso le novità, attraverso lo sviluppo di una corporeità integrata che entri in relazione con altri corpi attraverso lo sguardo, il contatto e la sincronia (Vardin, 2003).
LA PRATICA PSICOMOTORIA DI AUCOUTURIER
Pedagogista, educatore e psicomotricista, Aucouturier, negli anni ’70, fonda la PPA (Pratica Psicomotoria Aucouturier) con l’obiettivo, da un lato, di condurre il bambino verso il “piacere di agire” e di “pensare” e dall’altro, di creare un “canale di ascolto” che sia di aiuto nel sostenere le “angosce primarie” dell’infante (Castaneda & De Rocco, 2017, p.2). Il pensiero dello studioso francese integra alcuni apporti di diversi autori della psicologia dell’età evolutiva e della psicoanalisi, tra cui Winnicott e Bion; ogni apertura e chiusura di seduta, è scandita dalla ripetizione di formule che dovrebbero conferire un senso di contenimento e permettere al bambino di proiettare le proprie sensazioni all’interno della cornice dell’incontro. Il gioco spontaneo si presenta come lo strumento principale del metodo Aucouturier, grazie al quale i bambini avrebbero la possibilità di narrare la propria storia, le proprie emozioni, all’interno di un ambiente protetto e di entrare in relazione in modo pressochè immediato. L’aspetto ludico proposto dalla PPA per la rassicurazione profonda, si basa su attività ripetitive e cariche di emotività, grazie alle quali il bambino sperimenterebbe con sicurezza l’allontanamento della base sicura, a cui seguirà un ritorno (Aucouturier, 2005). Giochi sensomotori come correre, saltare, stare in equilibrio e inseguirsi, vengono abbinati ad attività legate ai concetti di pieno e vuoto, al nascondersi e al riapparire, all’allontanarsi e riavvicinarsi; il bambino che sperimenta quest’esperienza, consoliderebbe la propria identità e allontanerebbe le angosce legate alla perdita, all’abbandono, trasportandole nell’area di gioco. Secondo Aucouturier (2005), le azioni sarebbero trasformazioni tonico-emozionali reciproche, dove il legame tra tonicità ed emozioni, tensione e distensione, è inscindibile. La motricità, così come lo sguardo, permette al neonato il contatto con l’oggetto ricercato, a cui segue un’introiezione che, in un primo momento, si limita al movimento mano-bocca, ed in un secondo momento, permette l’allontanamento dall’oggetto reale (seno); le diverse modalità di relazione oggettuale proposte sarebbero fondamentali per la costruzione di un Sé integro e, all’interno della PPA, la libertà ludico-motoria faciliterebbe le sperimentazioni di diversi oggetti, come strumenti musicali e psicomotori (Aucouturier, 2005). Per quanto concerne i processi psico-affettivi e relazionali, Aucouturier si concentra sui vissuti corporei inconsci più arcaici, osservando i movimenti del bambino, ai quali viene attribuito un valore simbolico.
L’EURITMICA, DALCROZE
Èmile-Jaques Dalcroze, compositore e pedagogista svizzero, sviluppa, all’inizio del ‘900, il Metodo Euritmica, un sistema di educazione musicale attraverso il movimento, in cui il suono si porrebbe come uno strumento facilitatore dello sviluppo cognitivo e artistico, in una consapevolezza corporea collettiva (Dalcroze, 1930). All’interno di una lezione di Euritmica, sono presenti diverse attività tra cui il follow musicale, ovvero la ricerca di un’espressione libera nei movimenti e nei vocalizzi, sempre rimanendo all’interno della struttura sonora proposta dall’insegnante-terapeuta (Anderson, 2012). Di centrale importanza all’interno del metodo Dalcroze, è il valore del “canone”, la ripetizione di uno schema o melodia musicale in cui i partecipanti possono immergersi ed esprimersi liberamente, occupando lo spazio a disposizione come preferiscono. Ancor più significativo risulta il “canone interrotto” dall’insegnante, che, a differenza del canone classico che ripete “un, due, tre, quattro”, quest’ultimo risulterà “un, due, tre”, suggerendo agli ascoltatori di inserire un silenzio sul “quattro” e di continuare a seguire uno schema di cammino, corsa ritmica o battito di mani, anche nel momento di silenzio. Questo suggerirebbe ai partecipanti la possibilità di distaccarsi dalla “base sicura” dell’accompagnamento musicale, stimolando un’indipendenza di gruppo, pur stando all’interno delle regole (AIJD, 2019). In un contesto collettivo, l’improvvisazione su una base musicale legata alle regole tradizionali dell’armonia e della composizione, ha la funzione di sviluppare la capacità di decisione nel gruppo e di interpretazione individuale senza vincoli, in una comunicazione istantanea tra l’intelligenza musicale che coordina e il corpo e la voce che interpretano (Dalcroze, 1932).
IL METODO ORFF-SCHULWERK
Intorno al 1950, entra nella scena pedagogico-musicale il metodo Orff-Schulwerk, uno dei filoni principali dell’educazione infantile, riconosciuto a livello internazionale come approccio creativo e attivo che favorirebbe l’interazione con la musica attraverso il corpo. I tratti principali di tale metodo didattico sono “l’unità di musica-movimento-parola, l’uso dello strumentario, il rilievo dato all’improvvisazione e ai processi produttivi, il coinvolgimento globale della persona (corporeo, cognitivo, emotivo-relazionale) e l’apprendimento con e attraverso il gruppo” (Haselbach, 1993 p.64). L’Orff-Schulwerk è oggi l’insieme di contributi di tanti educatori, un work in progress, una connessione di dinamicità originata da esperienze diverse ma con un’idea comune: la musica come strumento di comunicazione innato e applicabile a diversi contesi scolastici e non, con obiettivi pedagogico-sociali, terapeutici e artistici (Eren, 2017). È emerso, in merito agli obiettivi del Metodo, che giochi vocali sul timbro, l’utilizzo di onomatopee, sonorizzazioni e sistemi di sillabe, potrebbero influenzare le capacità linguistiche del bambino (Cuardado, 2019); allo stesso modo, la body percussion e il movimento creativo insieme al canto, potrebbero avere un impatto considerevole sulle abilità di lettura. Lo strumentario elementare caratterizzato da immediatezza e semplicità di utilizzo, è formato principalmente da piccoli tamburi, utili durante il percorso a esprimere emozioni dialogando con i compagni all’interno del contenimento pianistico, condotto dal terapista (Haselbach, 1993). L’apprendimento delle regole musicali e relazionali, così come la consapevolezza corporea e vocale, sono legati all’imitazione e alla ricezione di proposte da parte dell’esperto di giochi, attività o storie da mettere in scena all’interno di un contesto collettivo. Vengono inoltre utilizzate, come iniziale approccio alle basi musicali, più che la notazione classica, ludiche notazioni gestuali (basate sulla lettura del movimento), verbali (pattern onomatopeici) e grafiche (varie rappresentazioni degli elementi musicale) al fine di stimolare la creatività nell’apprendimento (Cuardado, 2019). Il gioco, nel metodo Orff-Schulwerk, concepito come lo strumento di tale creatività, è simbolico (come la sonorizzazione di un evento emotivo o di un’immagine fantasiosa), motorio e adatto all’esplorazione sensoriale dello strumento; inoltre, è utile alla comprensione delle regole che vengono interiorizzate grazie alle strutture sonore, organizzate secondo uno schema compositivo che permette una buona interiorizzazione della disciplina e della coordinazione di gruppo (Haselbach, 1993). Essenzialmente pensata come educazione musicale collettiva, l’Orff-Schulwerk si organizza in attività di coppia, in grandi e piccole classi, in cui le azioni del singolo sono riprese tramite rispecchiamento dal resto del gruppo. Attraverso la creatività coordinata, viene a costruirsi una cultura comune che permetterebbe di introdurre significati tra più soggetti che apprendono ed esprimono la loro opinione. Facendo riferimento alla teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner, l’Orff-Schulwerk permetterebbe l’integrazione di diversi tipi di intelligenza: musicale, corporeo-cinestesica, spaziale, linguistica e intra/interpersonale (Vardin, 2003). Infine, l’ispirazione interculturale del metodo e la stimolazione contemporanea di diverse tipologie di intelligenze, assumono per i partecipanti valenza terapeutica e pedagogica.
Elisa Galli
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