
L’Italia il 2 giugno festeggia la Repubblica e… IL PRIMO VOTO DELLE DONNE!!!
Lo scorso sabato 2 giugno si è festeggiata la Repubblica Italiana, nata dal responso al referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946, promosso per determinare la forma di governo da assegnare all’Italia dopo il secondo conflitto mondiale.
Questo è ciò che tutti gli italiani ricordano e festeggiano il 2 giugno di ogni anno.
Passa invece, purtroppo, in secondo piano l’altra importante motivazione per la quale quel 2 giugno del ‘46 è passato alla storia, e cioè che in quella stessa data, proprio in occasione del referendum, avvenne in Italia il primo suffragio femminile su scala nazionale.
Ho precisato su scala nazionale perché, a onor del vero, le donne italiane si affacciarono al voto per la prima volta durante le amministrative che si tennero qualche mese prima del referendum (a partire dal 10 marzo del 1946), ma il referendum del 2 e 3 giugno di quello stesso anno rappresenta a tutti gli effetti, la prima elezione politica in Italia a cui partecipano le donne:
Per la prima volta dopo vent’anni di dittatura, il popolo italiano viene chiamato alle urne per eleggere i suoi rappresentanti nelle amministrazioni locali e all’Assemblea Costituente. E, questa volta, votano anche le donne.
Non ci sono state resistenze alla concessione di questo diritto tanto atteso:
Il Nord d’Italia non era ancora stato liberato quando nel gennaio 1945, con un provvedimento governativo, le italiane avevano acquistato finalmente piena cittadinanza. Sulla scia del prorompente desiderio di libertà e di giustizia, era sembrato naturale riscattare il mondo femminile da quella condizione di servaggio che il fascismo aveva imposto a tutti gli italiani. Certo, non scompaiono di colpo pregiudizi, perplessità e persino timori per l’affacciarsi delle donne sulla scena della politica, un terreno a loro così estraneo e improprio, così tipicamente «maschile» dove madri, mogli e figlie si sarebbero sentite sicuramente sperdute. Ma, come era già avvenuto nel corso della prima guerra mondiale, anche durante il secondo conflitto le donne avevano svolto un ruolo da vere protagoniste nel paese. E i loro sacrifici, il loro coraggio, la loro forza andavano in qualche modo riconosciuti, naturalmente con la riserva mentale che sarebbero stati comunque gli uomini, i padri, mariti e figli, a orientarle nell’universo misterioso delle schede e delle urne.
Ho tratto questo breve stralcio da uno dei manuali sui quali ho preparato l’esame di Storia Contemporanea all’università, per chi tra voi fosse appassionato di storia, il manuale in questione si intitola: Storia del Novecento Italiano. Cent’anni di entusiasmo, di paure, di speranza di Simona Colarizi (mi pare però doveroso avvisarvi che si tratta di un bel mattoncino… nel caso sapete a cosa andrete incontro).
Ho scelto di riportarvi testualmente quel pezzetto perché mi sembra offra interessanti spunti di riflessione, analizziamone qualcuno insieme.
Innanzitutto è rilevante il momento storico in cui le donne italiane vengono chiamate per la prima volta alle urne, un momento che è un po’ il simbolo della rinascita alla vita, alla libertà e alla giustizia, a seguito di un lungo periodo buio costituito da un’escalation di violenza e soprusi, perché questo è stato il regime fascista, questi sono i tratti caratterizzanti di ogni regime totalitario e di ogni guerra, nessuna eccezione fatta!
Come ho evidenziato in grassetto nella citazione sopra riportata, a differenza di quello che purtroppo ancora oggi in molti credono (quindi non solo la miss Italia eletta qualche anno fa) il ruolo delle donne durante la Seconda guerra mondiale non si limitava all’accudimento dei figli, degli anziani e della casa in attesa dei mariti partiti per far la guerra.
Durante l’intero conflitto mondiale, molte donne nelle campagne si sostituirono ai mariti nella coltivazione della terra. Nei campi esse lavoravano sia per il loro sostentamento famigliare, che per conto dei proprietari terrieri, svolgendo mansioni di contadine o braccianti stagionali. L’esempio più comune è quello delle mondine che nella Val Padana si occupavano della piantumazione e della raccolta del riso.
Dai campi partì anche l’ondata di scioperi, maschili e femminili, che a partire dal 1944 portò le donne ad impegnarsi nella Resistenza, svolgendo azioni di affiancamento alla lotta di liberazione. È così che nacque la figura delle staffette partigiane: giovani ragazze che portavano messaggi e armi da un battaglione di combattimento all’altro (tra loro anche la mia scrittrice italiana preferita: Oriana Fallaci).
Le staffette partigiane operavano anche in città ed è proprio in quegli anni che nelle città, le donne iniziarono a lavorare nelle fabbriche in sostituzione agli uomini chiamati alle armi. Le donne venivano impiegate nelle industrie tessili e dell’abbigliamento, in quelle alimentari e in quelle chimiche per la lavorazione dei minerali, della carta, delle pelli, del legno e dei trasporti.
Le donne ebbero il loro bel daffare anche nel terziario: l’assistenza è da sempre considerata l’ambito femminile per eccellenza e sebbene ai tempi era raro trovare una donna medico, molto diffuse erano invece le donne che lavoravano come infermiere, levatrici e balie. Dunque professioni di grande importanza per impegno, sacrificio e amore.
Perciò anche in questo articolo, come nei miei precedenti (Repetita iuvant soprattutto quando si tratta di messaggi positivi) colgo l’occasione per ricordare a tutte le donne di non sentirsi seconde a nessuno in fatto di forza, coraggio e spirito di sacrificio.
Bisogna essere consapevoli che quando scoppia una guerra, tutti la “combattono” e la subiscono: militari, civili, uomini, donne e bambini!
In conclusione, come commentare la riserva mentale, ancor oggi dura a morire, che le donne non siano “adatte” alla vita politica?
Beh, fino a quando le donne erano imprigionate nel ruolo di “angelo del focolare” e spettava solo all’uomo occuparsi del sostentamento economico della famiglia, poteva anche trovare un senso ritenere che le donne non fossero adatte all’amministrazione della res publica, ma al giorno d’oggi, mi auguro che questi pregiudizi siano ampiamente superati, dal momento che la maggior parte delle donne lavora in modo efficiente fuori e dentro casa e dunque una donna che ha vocazione per la politica deve poterla assecondare al pari di un uomo, senz’alcuna idea preconcetta.
Bisogna ammettere che nel corso degli anni, passi in avanti sono stati fatti e nelle recenti legislature abbiamo visto donne ricoprire cariche politiche importanti. Per esempio, l’attuale Presidente del Senato è una donna: Maria Elisabetta Alberti Casellati e nelle due precedenti legislature avevamo avuto Laura Boldrini alla presidenza della Camera dei deputati.
Chissà magari in un futuro, spero non troppo lontano, riusciremo anche ad avere un Presidente del Consiglio donna o perché no, proprio per omaggiare la nostra Repubblica nata anche grazie al primo voto importante delle donne in Italia, vedere un Presidente della Repubblica donna avrebbe un bel significato siete d’accordo?
Vi lascio con un’ultima curiosità: in data 2 giugno 1946 il Corriere della Sera pubblicava tra gli altri un articolo intitolato “Senza rossetto nella cabina elettorale” con il quale invitava le donne a presentarsi presso il seggio senza rossetto alle labbra. La motivazione era così spiegata: “Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”.
Chissà se la nostra Anto avrebbe qualcosa da obiettare a questo suggerimento di uscire senza rossetto?!
-Shake your Mind-
Paola
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